Le vicende della fabbrica della nuova Chiesa Arcipresbiterale

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L’inverno, come si è detto, era la stagione più favorevole per predisporre mezzi e materiali; nell’inverno dell’anno 1744 le preoccupazioni in questo senso si accentuarono notevolmente.

Le donne erano in ritardo con la consegna del filato, che l’Abate sollecitava per approfittare degli aumenti previsti. Ma era ormai tempo di predisporre anche le travi principali del tetto; il Monastero Femminile di Caravaggio aveva purtroppo rifiutato “una bella rovere che hanno alla Brusata”, per cui era forse necessario sollecitare a Bergamo, alla Misericordia Maggiore il dono di due roveri, in sostituzione della solita legna per la fornace, che il Venerando Ente era solito donare. A Bergamo nel frattempo erano pronti “gli pargoli (abeti) da lei scielti n° circa 40, che potevano essere trasportati con tre carri; erano inoltre urgenti circa quaranta pietre per la scala che si stava costruendo “in un dè piloni”.

I compiti dei Mastri andavano ben oltre l’appalto e direzione effettiva dei lavori, essi erano responsabili della richiesta e delle misure dei materiali, cui, come s’è detto, provvedeva il Grataroli, ma anche dei disegni esecutivi delle varie opere; “si manda pure il disegno della principiata facciata, conforme è stata lineata da Mastri stati quivi”.

Il nostro nobile Abate sottoponeva poi ogni cosa all’Architetto Alessandri, per una eventuale correzione. E correzione evidentemente l’Architetto l’aveva voluta per i materiali di facciata; egli chiedeva che le parti più importanti fossero realizzate in pietra di Sarnico, per le quali si prevedeva la spesa di L. 300 oltre al “viatico alla gente, che anderà a prenderlo”.

L’incarico era stato affidato ad Antonio Feltri Tagliapietre di Sarnico, ma i nostri buoni progenitori non erano d’accordo.

Quando anche questa facciata si facci di buoni quadrelli ben cotti, come le abbiamo, ogni uno dice, che accompagnerà meglio e starà più soda, essendo soliti col tempo li sassi di Sarnico a sfarinarsi”.

Pochi giorni più tardi don Francesco Maria riprende con più insistenza l’argomento: “Non s’adiri per carità V.S. Ill.ma, se ritiro la penna per certionarla della comune contrarietà cerca le pietre, delle quali poc’anzi già le ho scritto”.

Le sue argomentazioni sono certo di ordine pratico ed economico, ma di logica stringente e diremmo convincente; l’unica possibilità era in effetti quella che “qualche privato” si assumesse la rilevante spesa, il che non era in alcun modo pensabile. “L’istesso scanso di spesa soverchia si ha preso in mira anche per le due colonne. Un di questi Mastri s’impegna in due giornate di tagliar ed adattar per colonna di questi quadrelli, che tanti vi sono, e schivar la farcitura di 450 a posta stampati, che non costeranno meno di 10 soldi l’uno”; nel progetto originale infatti erano previste due colonne in mattoni a spicchi circolari, da stampare appositamente e da intonacare. La lettera lascia intuire ben chiaramente che la decisione era già presa, indipendentemente dal parere dell’Abate e dell’Architetto; “e sperano che tanto lei come il sig. Alessandri non s’offenderanno, se in ciò si scostano alquanto dal loro detto”!

 

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