Le vicende della fabbrica della nuova Chiesa Arcipresbiterale

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In campo architettonico, nella nostra provincia era importante la grande tradizione delle famiglie artistiche; dai Canaina ad esempio, che erano riusciti ad imporre nelle chiese un modello tipologico ad unica navata con cappelle laterali, cui era possibile apportare infinite varianti, secondo i canoni di quel vivace periodo artistico che caratterizza il barocchetto settecentesco.

Non stupisce quindi che alla nostra chiesa sia stato dato uno schema di quella tipologia, pur potendo affermare l’assoluta estraneità dei Canina dalla sua progettazione.

Ma torniamo alle vicende della nostra Fabbrica; pur in assenza di un progetto le opere esterne già fervevano.

Al 14 gennaio 1742 si era già entrati in una fase esecutiva; “Dall’illmo Sig. Can. Martinoni si ha il permesso di levar da questo suo chiericato discreta quantità di roveri per la Fabbrica”.

In questa fase iniziale ci si preoccupava infatti di procurare il legname per i ponteggi o per le strutture; i roveri erano utilizzati quale rinforzo interno alle murature (tiranti, corree, pilastri, sempre annegati all’interno della muratura, né mai utilizzati in vista), oppure predisposti a stagionare per le strutture portanti del tetto.

La lettera continua sul nostro argomento: “Quivi la falce della morte ci hà fatto un maltaglio cioè del povero Antonio Vanghetti, uno dei migliori operaij: Iustus es, Domine, et rectum iudicium tuum”.

Giusto sei o Signore, e retto è il tuo giudizio; Antonio Vanghetti stava lavorando alle opere preliminari, all’espurgo delle sepolture, prima dell’inizio vero delle opere architettoniche.

I resti delle sepolture furono portate altrove, in un ossario comune, accanto alla chiesa dell’Annunciata; in questa chiesa furono poi sepolti i morti per tutto il periodo di costruzione della nuova chiesa.

Era già in quel primo periodo dell’anno in corso la raccolta di fondi per le necessità della Fabbrica.

L’Abate Grataroli aveva organizzato tutto un programma di offerte e di lavoro gratuito. I proprietari terrieri offrivano il lino grezzo, che poi le donne della parrocchia provvedevano a lavorare ed a filare, insieme con la “stoppa” che serviva per tessere i sacchi.

 

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